
L'eco mondiale ha incontrato, a fine aprile, l'annuncio della denuncia presentata da Dinsey, il "gigante dell'intrattenimento", contro il Governatore della Florida, un potenziale candidato alla nomina presidenziale negli Stati Uniti, testimonia, tra molti altri segni, l'importanza dell'intrattenimento nella nostra società - l'ultima campagna pubblicitaria per Amazon prime non promette "intrattenimento all'infinito?"
Tuttavia – lo sanno tutti i liceali – l'intrattenimento è stato oggetto di aspre critiche da parte di Blaise Pascal, nato 400 anni fa. Ma questa critica, fatta nel XVIIe secolo, nel contesto di una ricerca della "verità della religione cristiana" ha ancora oggi un senso e un interesse? Più che mai, ci sembra, e per tre ragioni.
Un'analisi magistrale dell'intrattenimento
Intrattenere è, etimologicamente, voltare le spalle. Oggi il termine "intrattenimento" ha assunto il significato di semplice distrazione, di divertimento che procura piacere, sia che si tratti di scorrere lo schermo del cellulare, di "abbuffarsi" di una serie o di cantare al karaoke. Qualcosa di innocuo, e in fondo legittimo, per controbilanciare il peso delle preoccupazioni della vita quotidiana e del lavoro, o preoccupazioni dovute al contesto socio, anche geopolitico.
Ma, nel suo significato classico, l'intrattenimento è un'occupazione che ci distrae dal pensare a ciò che dovrebbe interessarci principalmente. Il suo significato è quindi più da ricercare nell'importanza di ciò che devia, che nell'interesse dell'occupazione che privilegia. Questa è la prima grande lezione di Pascal.
Per lui «l'unica cosa che ci consola delle nostre miserie è il divertimento, eppure è la più grande delle nostre miserie». Per quello ? Perché «principalmente ci impedisce di pensare a noi stessi», e alla sostanziale miseria dell'uomo (senza Dio). L'intrattenimento è una miseria... perché è solo un nascondino!
Tutte le caratteristiche di cui Pascal sottolinea la dimensione negativa ("correre dietro al fumo", "rumore e agitazione", "agitazione") derivano la loro negatività dalla loro funzione sbalorditiva. La società dello spettacolo è infatti una società sbalorditiva. Chiacchieriamo, corriamo, giochiamo, corteggiamo, cacciamo ("la caccia, non la presa"), facciamo la guerra, per dimenticare il terribile segreto del suo vuoto.
meno del fatto di "non saper stare a riposo, in una stanza", che è solo "la causa di tutte le nostre disgrazie", è la loro "ragione" che conta, "che consiste nella naturale sventura della nostra condizione debole e mortale, e così miserabile, che nulla può consolarci, quando pensiamo a da vicino".
Il “pieno riposo” è per noi “così insopportabile” solo perché è occasione per sentire “il proprio nulla, abbandono, inadeguatezza, dipendenza, impotenza, vuoto”. Ciò che è riprovevole nell'intrattenimento è quindi meno il movimento di fuga che il rifiuto che esprime di vedersi come si è. Vale a dire, in ultima analisi, il rifiuto di pensare.
Un pressante invito a pensare
Per Pascal, "l'uomo è ovviamente fatto per pensare; è tutta la sua dignità e tutto il suo merito, e tutto il suo dovere è pensare come dovrebbe". Lui insiste:
"Il pensiero fa grande l'uomo. L'uomo è solo una canna, la più debole in natura; ma è una canna pensante... Lavoriamo dunque per pensare bene: questo è il principio della morale".
Ma cos'è "pensare bene"? Chiara la risposta data da Pascal, che è alla base del giudizio negativo espresso sull'intrattenimento: è solo un "mestiere... che distrae dal pensare a se stessi". Ora, pensare è anzitutto pensare a se stessi, non come individuo particolare, ma nella propria universalità di essere umano (uomo e donna); e nella sua (triste) condizione: "Ora che cosa pensa il mondo? Mai a questo; ma a ballare, suonare il liuto, cantare, scrivere versi, correre sull'anello, ecc., combattere, per farsi re, senza pensare a cosa vuol dire essere un re, e cosa vuol dire essere un uomo".
Per questo la solitudine è solo un mezzo, non un fine. Un mezzo necessario, perché non possiamo «restare in compagnia dei nostri simili: miserabili come noi, indifesi come noi, non ci aiuteranno: moriremo soli. Dobbiamo quindi agire come se fossimo soli». In tal caso "cercheremmo la verità senza esitazione".
È in questa ricerca della verità che consiste il pensiero, che indubbiamente è gravemente carente oggi, al tempo di massiccia disinformazione, mentre trionfano le fake news, e il proliferare di false opere della creazione. È quanto mai urgente lavorare sul "pensare bene", questa è la seconda lezione.
Un focus su due domande essenziali
L'analisi dell'intrattenimento di Pascal ha quindi il grande merito di suggerire un programma per "pensare bene". Appare necessario, infine, soffermarsi oggi su due grandi questioni, che alla fine si uniscono.
Il primo è sapere cosa significa vivere, per un essere umano. Perché "non viviamo mai, ma speriamo di vivere". In altre parole: cosa significa essere un uomo? "Devi conoscere te stesso", ma andando all'essenziale, per cogliere ciò che fa di te un "uomo onesto", un membro della società delle "persone universali". Essere uomo è una "qualità universale", che bisogna cogliere, farla propria e dimostrarsi degni di essa.
Per Pascal si tratta di porsi la questione del senso e del valore della vita umana, per sapere che cosa l'uomo può sperare di meglio per ciò che lo riguarda, ea cosa deve attaccarsi. Questo è il primo modo per trovare un “porto di moralità”, cioè trovare un “punto fermo” per giudicare ciò che vale la pena dare valore alla vita, sfuggendo al vagare nella “perpetua illusione” – quella appunto che il divertimento la società ci offre.
La seconda grande questione è sapere se l'uomo può ancora pensarsi (situarsi) in relazione con l'Assoluto, cioè con Dio, e come. Pascal ha rappresentato la miseria dell'uomo senza Dio. Ma non dovremmo notare che, a seguito di quello che avrebbe potuto definire uno "strano capovolgimento", dobbiamo deplorare oggi soprattutto la miseria dell'uomo (e soprattutto della donna!) a cui pretendiamo di imporre Dio? Comunque nei paesi teocratici, che così facilmente si trasformano in dittature!
Il problema è lo stesso: trovare, dare senso alla nostra vita, un possibile fondamento in una trascendenza che, da un lato, non sarebbe del tutto incerta, e dell'ordine di una semplice illusione. E che, d'altra parte, non sarebbe alienante, ma liberatorio, facendo perdere alla religione il volto, che troppo spesso assume, di fabbrica di servitù.
È concepibile che la grandezza e la difficoltà del compito possano, ancora e ancora, gettarci costantemente tra le braccia del "divertimento"!
Carlo Hadji, Professore Onorario (Scienze dell'Educazione), Grenoble Alpes University (UGA)
Questo articolo è ripubblicato da The Conversation sotto licenza Creative Commons. Leggi ilarticolo originale.